Il vate dell’Italia unita

copertina di Il vate dell’Italia unita

Il prestigio, sempre maggiore, conquistato a livello nazionale coincide con il progressivo allontanamento di Carducci dall’area democratico-repubblicana.

L’ode Alla regina d’Italia, composta nel 1878, dopo l’incontro con i reali in visita ufficiale a Bologna, documenta l’accostamento del letterato alla monarchia dei Savoia, di cui poi l’oratore affermerà con vigore il ruolo di garante dell’unità dello stato italiano. Ma altri fattori contribuiscono a far maturare il nuovo atteggiamento politico, condiviso da non pochi personaggi di provenienza democratica: la soluzione della questione romana con la proclamazione di Roma capitale dello stato italiano (1871), la delusione, sempre più crescente, per la politica della Sinistra (succeduta al governo della Destra nel 1876), la convinzione che l’istituto monarchico possa favorire un progresso sociale giusto contro il minaccioso diffondersi del pensiero socialista.

Se la morte di Lidia (1881), con cui i rapporti si erano illanguiditi fin dal 1879, fu motivo di grande tristezza, tuttavia Carducci continuò a occuparsi indefessamente dei suoi molteplici lavori: l’insegnamento universitario, l’attività ispettiva scolastica in molte città e gli incarichi assolti nell’ambito del Ministero della Pubblica Istruzione (dal 1880 è membro del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione) che ne confermarono il ruolo di «istitutore dell’Italia unita», le sedute nelle principali accademie italiane di cui era divenuto socio e la collaborazione a importanti riviste, gli interventi al Senato, di cui sarà membro dal 1890, quando già era piena la sua adesione alla politica autoritaria di Crispi.

Carducci è acclamato poeta ufficiale della nuova Italia. La raccolta Rime nuove (1887) rappresenta il corpus più ricco, più vario per estensione cronologica (1861-1887) e più composito per i temi trattati dal poeta che nel 1889 si era innamorato della giovane scrittrice Annie Vivanti (1866-1942).

A partire dalla metà degli anni Novanta, nonostante l’aggravarsi delle condizioni di salute (ripetuti attacchi di paralisi lo costringeranno nel 1899 all’immobilità) Carducci non cessò di attendere ai propri impegni di critico e di filologo: è del 1898 il saggio Degli spiriti e delle forme della poesia di Giacomo Leopardi, mentre nel 1899 viene pubblicato il commento al Canzoniere di Petrarca, frutto della felice collaborazione con il discepolo prediletto Severino Ferrari (1856-1905).

Nello stesso anno il libro Rime e ritmi concludeva l’opera del poeta che tre anni prima, era stato solennemente festeggiato per il suo XXXV anno di insegnamento dall’Università di Bologna da cui si congedava nel 1904. L’allievo Giovanni Pascoli gli succederà sulla cattedra di letteratura italiana nel giugno 1905.
La sera del 10 dicembre 1906 il barone svedese Bildt si recava nella casa delle Mura Mazzini, dove Carducci abitava in affitto dal maggio 1890, e, a nome del re Oscar II di Svezia comunicava ufficialmente al poeta-professore il conferimento del Premio Nobel per la letteratura.

Carducci si spegne nelle prime ore del 16 febbraio. Proclamato il lutto nazionale, il 19 è accompagnato alla Certosa di Bologna con un solenne funerale civile.